Ritratto di nobildonna – Jacopo Amigoni

Il dipinto presenta il carattere stilistico della ritrattistica di Jacopo Amigoni, genere nel quale l’artista ottenne risultati da far meravigliare, nel repertorio ufficiale come nella lunga serie di teste d’ambito privato, mirabili fisionomie di presa sentimentale che rispondono appunto alla tipizzazione di quei soggetti in senso moraleggiante.
La giovane donna – all’incirca ventenne – appare in posa diretta e in un’inquadratura ravvicinata, cosicché l’impronta del volto si mostra vigorosa, caratterizzata dalla forza espressiva che si avvale di una scelta cromatica appena contrastata, tesa a fondere il colore ma trapuntandolo di passaggi guizzanti e tali da rassodare i volumi distesi del viso in una più affiorante consistenza materica.
Difatti è caratteristico, nella pittura di Jacopo Amigoni, il modo di aprire la forma e di fonderla in un colore reso più tenue dal passaggio di ombre lievi. La fusione cromatica, di per sé molto luminosa, definisce con attenzione il tenero incarnato e ne penetra i tratti restituendo l’espressione profonda del personaggio, che appare cristallizzato, quasi, in posa sospesa. Ma gli abiti e i gioielli sontuosi, l’elegante ermellino ci fanno comprendere che tanta immediatezza è pur sempre principesca.
Con la festa di primavera che immaginiamo nel fantastico dialogo floreale del bouchet vorremmo andare a caccia del nome vero della donna, ma ci tratteniamo nella via delle somiglianze, anche perché furono davvero molti i ritratti aristocratici che Amigoni dipinse con successo – anche replicandoli – sin da quando, nel 1735, Carolina, regina d’Inghilterra, rimase colpita dal Farinelli incoronato da Euterpe dipinto a Londra. Fu il cantante più celebre d’Europa a farsi amico e amorevole sostenitore del pittore e dei suoi ritratti (egli stesso possedeva ben trentatre dipinti dell’artista), fino a introdurlo alla corte di Madrid dal 1747 dove ritrasse tante volte la famiglia reale.
Pensando ai ritratti inglesi, e poi a quelli spagnoli, andiamo a scorgere Maria Antonia Fernanda, ultima figlia di Filippo V e Isabella Farnese, di cui esiste il volto ufficiale amigoniano al Museo del Prado di Madrid. Ci soffermiamo per un attimo sul ritratto dell’erede spagnola che da Torino fu richiesto in vista del matrimonio col duca Vittorio Amedeo III. Era il 1750 e il futuro segretario di Stato sabaudo Giuseppe Antonio Osorio, non certo un estimatore di Jacopo Amigoni, conoscendo un precedente ritratto della promessa sposa presente a corte, reputava più conveniente una posa con abiti da cerimonia, che poi, pur accontentato, non trovò abbastanza somigliante.
Il nostro dipinto, oltre a trasmettere un particolare senso d’intimità e aderire, si direbbe, alle carezze dell’aria, potrebbe raffigurare il più giovane viso dell’infanta di Spagna che, intorno al ’47-’48, avrebbe avuto circa diciott’anni. E non riesco a resistere alla tentazione di trovare delle somiglianze anche con l’erede Maria Giuseppina di Savoia.
Ma togliamoci gli occhiali dell’identikit e guardiamo le caratteristiche della maniera moderna percorsa dalla ritrattistica europea, qui incarnata da uno dei migliori interpreti di area veneziana, cui potremmo aggiungere i nomi di Bartolomeo Nazzari e di Rosalba Carriera.
Lo stesso Amigoni, del resto, forse coinvolto dal fortunato successo dei modi della pittrice veneziana, avrebbe percorso la strada del ritratto idealizzato, caratterizzato dalla morbida fusione cromatica degli incarnati, corrispondendo all’affermazione di un gusto aggiornato che gli avrebbe garantito fama internazionale.

Aggiungo, anticipando qualche breve nota riguardante il maestro e la sua carriera di pittore itinerante in Europa, come Jacopo Amigoni fosse all’epoca uno dei più aggiornati sulle novità francesi, utili a comprendere l’importanza sul piano delle moderne contaminazioni tra differenti pratiche figurative. Non si potrà dimenticare, difatti, il ritorno a Venezia nel 1739 del maestro che conosceva perfettamente gli ambienti artistici di Londra e Parigi; con lui viaggiava l’incisore d’origine tedesca Joseph Wagner che avrebbe aperto a Venezia una fiorente calcografia in cui lavorava anche il francese Charles – Joseph Flipart, un intreccio che può bene mettere a fuoco quanto sia stata importante la divulgazione delle novità parigine attraverso le incisioni.
L’educazione artistica e la padronanza delle tecniche dei mezzi espressivi divennero le virtù più apprezzate del maestro, che entrò in sintonia con la ritrattistica degli affetti equilibrati, della giusta misura gestuale.

Questo è un quadro raffinato uscito, come si diceva, dal pennello di Jacopo Amigoni, figura chiave della generazione di artisti veneziani attivi tra il XVII e il XVIII secolo. Il maestro, già sufficientemente lodato dalle fonti settecentesche, si distinse per l’eredità accademica derivatagli dal veronese Antonio Balestra e forse dal più anziano Antonio Bellucci. La sua fama di decoratore, di pittore di soggetti mitologici e di ritrattista corse infatti in tutta Europa, da Düsseldorf alla Baviera, nelle residenze di Nymphenburg e Schleissheim, per conto dell’elettore Max Emanuel von Wittelsbach, nel monastero di Ottobeuren, agli ordini dell’abate Rubert Ness; a Londra, Parigi e Madrid, dove morì il 22 agosto 1752.
La prospettiva internazionale dell’artista incontrò l’attenzione della critica moderna che si presentò con un primo contributo venuto dall’area tedesca, nella persona di Hermann Voss (Jacopo Amigoni und die Anfänge der Malerei des Rokoko in Venedig, in “Jahrbuch der K. Preuszischen Kunstsammlungen”, 1918, pp. 145-170), raccolto da Roberto Longhi (Recensione a H. Voss, Jacopo Amigoni und die Anfänge der Malerei …, in “L’Arte”, 1920, p. 25) e messo a fuoco di fronte al notevole gruppo di dipinti presenti alla Mostra del Sei e Settecento del 1922 in palazzo Pitti a Firenze, nel corso della quale lo studioso poté perfezionare criticamente la rete di tangenze con la scuola napoletana, restituendo in seguito al Giaquinto il Ritratto del cantante Farinelli del Museo Civico Bibliografico Musicale di Bologna, già assegnato a Jacopo Amigoni, che peraltro ritrasse il famoso artista in altre occasioni. Le mostre veneziane de Il Settecento Italiano (1929) e dei Cinque secoli di Pittura Veneta (1945) portarono l’interesse generale su quello che veniva considerato uno dei migliori interpreti del rococò europeo, posizione che venne definita dalle ricerche di Giuseppe Maria Pilo (la prima, Studiando l’Amigoni, in “Arte Veneta”, 1958, pp. 158-168), di Flavia Pilo Casagrande, di Rodolfo Pallucchini, di L. Griffin Hennesey (Jacopo Amigoni (1685-1752): An Artistic Biography with a Catalogue of his Venetian Paintings, Ann Arbor 1983) e, più di recente, di Annalisa Scarpa Sonino (Jacopo Amigoni, Soncino 1994) che ha precisato l’importanza del repertorio del maestro in ambito collezionistico (per il nostro genere pittorico: Ritrattistica amigoniana, in “Arte Documento”, 8, 1994, pp.233-248), oltre ad aprire la strada a più vicine ricerche. Negli ultimi decenni, infatti, sue opere significative sono state spesso presentate nelle gallerie antiquarie, soprattutto in Inghilterra (Colnaghi, Agnew’s, Walpole Gallery).

Nella carriera non breve e densissima, Amigoni ha toccato un particolare registro di stile: squisito di delicatezze cromatiche, come nel piccolo formato di questo dipinto che dimostra di inseguire atmosfere rarefatte, trasparenze leggere quasi di pastello.
L’adesione piena al classicismo formale del finitissimo quadro, nella declinazione internazionale di gusto rococò, potrebbe legarlo a quei dipinti inviati nel 1738 da Londra a Madrid, dove l’amico cantante Farinelli tentava di aprirgli la strada di corte, di fatto avvenuta nel 1747 per volontà di Ferdinando VI con la carica di primer pintor de camera. L’Allegoria con Don Carlos giovinetto (Segovia, La Granja), probabilmente immaginata per celebrare l’ascesa del Borbone in Italia, nei territori di Parma e Piacenza (1731), e in quelli meridionali già di dominio spagnolo e austriaco (1735), confermata, quest’ultima, alla fine della guerra di successione polacca proprio nel 1738, potrebbe associarsi anche stilisticamente e storicamente al presente esemplare.

Ma se a valergli la chiamata a Madrid fu Ferdinando VI di Borbone, che regnò dal 1746 all’età di ventitré anni, Jacopo Amigoni in quello stretto ambito cronologico di dieci anni può aver concepito il presente ritratto, sperimentato per la travolgente immediatezza comunicativa e per la carica di energia e seduzione. Le fattezze della giovane paiono adeguate all’epoca, al volgere dunque della metà del secolo in cui l’artista avrebbe messo a disposizione della corte spagnola il suo lucido talento.