Capriccio architettonico con scena d’intrattenimento – Antonio Diziani

A ben guardare, per simili dipinti tanto apprezzati durante il Settecento per via della realistica interpretazione ed anche per l’acuto effetto dell’immaginazione, si può parlare di romanzo familiare, che magari potremmo porre in contrappunto con più rigorosi soggetti storici della letteratura e della stessa pittura.

Verrebbe voglia di allargare lo sguardo su quei Capricci fiamminghi, ovvero la serie di stampe realizzata entro il 1770 da Giambattista Volpato da invenzioni di Domenico Maggiotto, a conferma di quella grazia stravagante che costituiva l’assunto principale di simili lavori. Lo stesso Volpato si era dedicato a riprese filologiche di brani di derivazione nordica valendosi questa volta di Francesco Maggiotto, in incisioni che raffiguravano Famiglie contadine e Giocatori di carte in stanze degradate: veri incunaboli per le interpretazioni di genere settecentesche, che qui vorremmo però rammentare nel dare un punto cronologico per il nostro dipinto, gli anni Settanta.
Andiamo più in là, seguendo il ragionamento di Dario Succi che ha presentato il quadro (Il fiore di Venezia dipinti dal Seicento all’Ottocento in collezioni private, Azzano Decimo 2014, pp. 287-288).
Per la condotta pittorica che tende a screziare in più sottili pennellate filiformi le superfici macchiate dal colore, si è portati a credere che l’opera appartenga al repertorio di Antonio Diziani, figlio di Gaspare, anch’egli pittore. Aggiungiamo il confronto con le Quattro stagioni del Museo Civico di Padova (M. Pietrogiovanna, in Da Padovanino a Tiepolo. Dipinti dei Musei Civici di Padova del Seicento e Settecento, a cura di D. Banzato, A. Mariuz, G. Pavanello, Milano 1997, pp.310-311).
Nel dipinto si può riconoscere la volontà dell’artista di restituire un’idea di frammento di vita reale; si evidenzia la messa a fuoco del paesaggio di architetture e rovine, portato alla specifica pratica di genere settecentesca, con una sensibilità verso il monumentale immaginato in una sfera contemplativa.

Diziani si fa quindi interprete di due opposte rappresentazioni, che quasi corrispondono a una visione in sedicesimo di quanto aveva corrisposto la poetica del sublime: da un lato il rovinismo, dall’altro la forza dell’elemento naturale.
Proprio come nel grande teatro della natura l’opera è sufficiente a riassumere i numerosi spunti di Antonio Diziani e raccoglierli nel personale spirito di intimità pur nell’apertura dello spazio rappresentato.
L’artista stempera il delicato stato di sospensione, e più in generale tutte le componenti di quel particolare universo che dimostra di essere il capriccio. Lo sfondo è popolare, quasi colto dal vero, come parrebbe suggerire l’intermezzo sulla destra, con la scimmietta ammaestrata che dà spettacolo. La visione, in tal senso, è particolarmente legata alla cultura del paesaggio veneto del Settecento, con una più aperta adesione ai modi di Marco Ricci e Giuseppe Zais. Il maestro, come dimostrano del resto i suoi numerosi esemplari, era attratto dai protagonisti minori della vita di strada, come i contadini, i pescatori, i viandanti e i pastori che egli riconosce nella loro autonomia espressiva in pittoresche annotazioni e che restituisce alla pacata dimensione arcadica nella successiva elaborazione paesaggistica: anche nel nostro esemplare, a colpirci sono le silenziose presenze di una narrazione che scorre ininterrotta da un dipinto all’altro in nuclei composti ma tra loro comunicanti.
La continuità di uno stile all’evidenza comune è anche l’oggetto di un’ulteriore riflessione sullo sviluppo della personale maniera dell’artista. Le architetture, le modeste case e la vegetazione, ma più in generale l’accordo luminoso dei toni, si ammorbidiscono in atmosfere chiarissime per effetto dello scorrere largo delle pennellate che si screziano in nitidi impasti a macchia. Si tratta di una variante tecnica che l’artista nel tempo avrebbe controllato in rapporti di colore più profondi e manifestando un più fitto tratteggio nel dipingere, con risultati di maggiore fermezza nella resa del disegno.