Trinità con gloria d’angeli – Berbardino Nocchi

Nel 1769, durante il pontificato di Clemente XIV Ganganelli (1769-1774), il giovane pittore lucchese Bernardino Nocchi, grazie all’aiuto del padre, disegnatore di architetture, e del nobile mecenate artistico, suo concittadino, Carlo Conti, giunse a Roma, città allora dominata dalla presenza del conterraneo Pompeo Batoni, il principe tra i ritrattisti al tempo del Gran Tour. Sebbene condividesse con quel pittore l’origine lucchese e suscitasse le sue simpatie, Nocchi non entrò mai nel suo atelier: ultimò invece la propria formazione presso il talentuoso (e ancor oggi misconosciuto) Nicola Lapiccola, pittore trasferitosi dalla natia Crotone nell’Urbe, dove ricevette incarichi importanti nei Sacri Palazzi Apostolici e affrescò con un moderno stile antichizzante palazzi delle famiglie nobili romane (come i Chigi o gli Stoppani). La generosità e la sagacia di Lapiccola nell’elargire i giusti consigli al giovane Nocchi si dimostrarono quanto mai utili per far conquistare all’allievo una propria strada nella scena artistica romana.

I primi apprezzamenti ricevuti da Nocchi non andarono di pari passo con la sua fortuna economica, stando al significativo epistolario reso noto da Roberto Giovannelli: una fonte imprescindibile di informazioni sulla personalità e le vicissitudini del Nostro, che offre un punto di vista privilegiato sulla società e sull’ambiente pittorico e sociale dell’epoca. Un netto miglioramento per la carriera di Nocchi si registrò durante il pontificato di Pio VI (1775-1799), al secolo Angelo Braschi. Amante delle lettere e mecenate munifico, il pontefice ebbe innumerevoli e noti meriti artistici; tra le significative imprese pubbliche giova ricordare almeno la bonifica delle Paludi Pontine, legata alla commissione del dipinto che qui si presenta. Nocchi fu a lungo attivo per la famiglia del pontefice; per il nipote di Pio VI, il cardinale Romualdo Onesti Braschi, ad esempio, ridecorò l’appartamento in Vaticano.
Si occupò, inoltre, del prestigioso quanto impegnativo restauro della cappella Paolina e della decorazione della Sala delle Stampe della Biblioteca Vaticana, quest’ultima oggi nota, in seguito alla demolizione dell’ambiente, solo tramite una serie di modelletti conservati in collezione privata lucchese. Seguì l’importante decorazione del palazzo della Consulta al Quirinale (1787-1790) e la celebrazione di Pio VI in quella che è oggi la Galleria degli Arazzi in Vaticano (1788-1790). Nel 1796 gli fu chiesto di recarsi al monastero di San Paolo a Tor Tre Ponti, vicino a Latina, un luogo visitato spesso dal pontefice poiché oggetto del suo primo sistematico progetto di bonifica di cui dicevamo. La prima visita di Pio VI cadde il 9 maggio del 1790, quando in persona pose la prima pietra del monastero inaugurato sei anni più tardi con lo scopo che: «non venisse mai meno il conforto della religione ai contadini ivi residenti». Per la celebrazione di questo secondo evento Nocchi fu incaricato di dipingere una pittura a tempera che avrebbe dovuto eternare quell’episodio non solo con il papa, i principi e i prelati della sua corte, ma anche con i frati cappuccini del convento. Di questa tempera, in cui il pittore si raffigurò con il figlio Pietro ai piedi del pontefice, non rimane purtroppo traccia, se non la descrizione presente in una biografia manoscritta di Nocchi conservata presso le carte Trenta dell’Archivio di Stato di Lucca.

Dalla stessa fonte veniamo informati di una pala d’altare destinata al convento dei Cappuccini di Tor Tre Ponti e mai consegnata a causa degli sconvolgimenti storici che avrebbero rivoluzionato l’Europa e posto fine al papato di Pio VI, condotto prigioniero lontano da Roma dalle truppe francesi, entrate in città nel febbraio del 1798, e colto dalla morte esule a Valence-sur-Rhône il 29 agosto dell’anno successivo. L’opera di Nocchi fu quindi ceduta dal pittore alla famiglia Belloni in cambio di uno sconto sull’affitto, come risulta dagli inventari della collezione Belloni, in cui è citata come una: «Santissima Trinità con una gloria d’angeli ed i Santi Giuseppe da Leonessa, Serafino, Lorenzo da Brindisi, Bernardo da Offida e la Beata Coletta, tutti cappuccini». La descrizione precisa toglie qualsiasi dubbio sull’identificazione del suo modello in quest’inedita, piccola tela, qui ricondotta alla mano di Nocchi e collegata alla pala perduta del pittore. Si tratta dello stesso esemplare che è puntualmente registrato tra le altre opere di Bernardino in un inventario chirografo del figlio Pietro Nocchi, anch’esso conservato tra le carte di Tommaso Trenta.

La ricomparsa di questo esemplare conferma che i modelli furono una pratica propria di Bernardino, che ne fece uso per ammaestrare i propri allievi, tra i quali il figlio Pietro, come a ragione è già stato supposto. L’intenso epistolario intessuto tra Pietro e il padre, una corrispondenza che perdurò fino alla morte di quest’ultimo, svela che il rapporto tra questa famiglia romana e l’artista lucchese fu molto travagliato. Tra il 1809 e il 1810 Bernardino confessò a Pietro le difficoltà di pagare la casa in affitto al proprietario che a suo dire gli stava: «alle coste» e lo tormentava per denaro, e che già gli aveva sottratto, non solo la pala per Tor Tre Ponti, ma anche i «due quadri di Ulisse», identificabili con il Pianto di Ulisse e il Ritorno di Ulisse, oggi custoditi nel Museo di Villa Guinigi a Lucca, realizzati nel 1794 per Carlo Conti, collezionista illuminato che morì, vittima di un colpo di pistola, prima che fossero ultimate. Nocchi, rammaricato dalla scomparsa del suo primo e prezioso committente che tanta parte ebbe per la propria affermazione artistica, come emerge anche dai suoi scritti indirizzati questa volta alle sue sorelle a Lucca, e preoccupato di sistemare le tele da qualche parte e per non perdere il guadagno, finì per consegnarle, a fronte dell’affitto, nelle mani della famiglia Belloni.
Nel registro superiore del modello si svolge la gloria celeste in un tripudio dorato di angioletti, mentre, accomodato su una nuvola, siede Cristo, con l’espressione insieme candida e mesta, coperto solo da un drappo bianco percorso da venature argentee, che accoglie a braccia spalancate, per introdurlo al Padre, il sacerdote dell’ordine minore dei frati cappuccini, San Giuseppe da Leonessa (1556-1612), distintosi in vita per l’aiuto offerto ai cristiani a Costantinopoli e per la cura dei poveri. Accanto al Figlio, attorniato da premurosi angioletti che lo sostengono, si libra trionfalmente Dio Padre che indossa un’ampia veste bianca avvolta da un ampio manto rosa. Nel registro inferiore si accalcano alcuni celebri personaggi cappuccini colti nella visione mistica; la loro nutrita presenza fa dell’opera un chiaro omaggio all’ordine committente, alla loro moralità integerrima e al loro spirito di sacrificio.
Nell’angolo a sinistra si riconosce il sacerdote e dottore della chiesa San Lorenzo da Brindisi (1559-1619), rappresentato con la piuma in mano in quanto conoscitore profondo della Bibbia; a destra, in primo piano, appaiono prostrati il frate laico San Serafino da Montegranaro (1540-1604), avvolto nel saio e nella lunga barba, e, più indietro, nello sfondo, il Beato Bernardo da Offida (1604-1694), che attira lo sguardo incuriosito di un angioletto. Ai piedi del Cristo la francescana francese Beata Coletta (1381-1447), sorpresa da quell’apparizione improvvisa. Si tratta di personalità accomunate dall’appartenenza allo stesso ordine religioso, ma anche dalla sofferenza per la vita di stenti subita in gioventù, proprio come quella di Nocchi. Gli ampi gradini della scala in primo piano movimentano ulteriormente l’affollata scena, conferendole ampiezza e profondità.
Il modello mostra Nocchi in un momento felicemente batoniano del suo continuo oscillare tra gli elementi più prossimi al grande maestro lucchese, responsabile della magniloquenza delle figure, e il sentire ‘mengsiano’ che lo avrebbero portato all’apprezzamento di Canova.

Tipiche di Bernardino sono la pittura smaltata e la stesura in punta di pennello, attenta ai dettagli, così come gli accostamenti equilibrati e teneri della tavolozza che predilige toni smorzati, mentre alcuni accorgimenti materici sono impiegati nella resa delle folte e morbide barbe dei cappuccini e nelle accuratissime pieghe dei panneggi, quali il brano della veste bianca di San Lorenzo che emerge sotto il paramento. Nell’espressione carica di pathos e nella premura del velo risvoltato a scoprire la fodera bianca, rivive l’immagine della santa protagonista raffigurata nella sua pala, purtroppo pesantemente restaurata, di Santa Chelidonia che medita la passione nelle Grotte di San Benedetto ed i Santi Placido e Mauro circondati da una gloria d’angeli collocata nel primo altare destro della chiesa di Sant’Andrea a Subiaco, chiesa patrocinata da Pio VI.
All’interno della produzione religiosa di Nocchi, è proprio la pala con Santa Chelidonia che offre, grazie alla sua data certa del 1788, anno in cui fu commissionata, un riferimento cronologico importante per la ricostruzione del catalogo sacro dell’artista. Seppur ancora ispirata ai modelli figurativi del Lapiccola, quale l’Estasi di San Francesco dipinta per San Lorenzo in Panisperna, si rivela di qualche anno successiva al Transito di San Giuseppe dipinto alla metà degli anni ottanta da Nocchi per la chiesa di San Secondo a Gubbio, di cui si conserva il modello in collezione privata a Pieve a Nievole (Pistoia). Il tipo di Dio Padre di questa tela rimanda a quello dipinto nel nostro esemplare: un anziano barbuto con l’espressione un po’ aggrottata e solenne che incombe dall’alto dei cieli e fluttua nella gloria celeste. Sempre per la stessa comunità religiosa di Gubbio, nel medesimo tempo, Nocchi eseguì una pala con Sant’Agostino che confonde gli eretici manichei, nel cui modello compaiono i tipi fisionomici di San Lorenzo e di San Serafino; si riscontrano anche panneggi analoghi che cadono a fitte, piccole pieghe. Quasi una decina di anni dopo, nella nostra piccola tela preparatoria per la pala raffigurante la Trinità con una gloria d’angeli e santi cappuccini destinata al convento di Tor Tre Ponti (1796 circa), Bernardino iterò dunque formule a lui care, mostrando un’analoga propensione a definire meticolosamente i dettagli.

Per concludere sui confronti tra l’opera recuperata e quelle accertate del catalogo di Nocchi sottolineo la quasi sovrapponibilità tra Dio Padre, una sigla dell’artista, e quello raffigurato nell’Immacolata Concezione e santi firmata e datata 1804, oggi nella cappella dell’Ospedale Civile di Macerata, sorprendente per lo schema compositivo di matrice neoveneta, probabile frutto di un’avvenuta meditazione da parte del pittore sugli esempi Carlo Maratta e di Giovanni Odazzi.

Il nostro dipinto appare dunque un nuovo e significativo tassello dell’attività di Nocchi all’apice della carriera, quando godeva della protezione della famiglia Braschi.